Tacchetto è in Italia: «Ci hanno trattati bene»

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DAKAR, Senegal - Tanta gioia per la liberazione del padovano Luca Tacchetto e della canadese Edith Blais. Dopo 15 mesi di prigionia tra il Burkina Faso e il Mali, i due giovani si sono liberati apparentemente da soli giovedì sera e il giorno dopo hanno ricevuto il benvenuto delle forze della Missione Onu (Minusma) a Kidal , città nel remoto nord–est del territorio maliano. Domenica mattina Luca Tacchetto è poi atterrato a Ciampino, accolto dalle autorità italiane: «Siamo stati trattati bene e non ci hanno mai minacciati con le armi – ha raccontato il giovane al pubblico ministero di Roma, Sergio Colaiocco e ai carabinieri del Ros –. Mangiavamo tutti i giorni anche se poco». Dopo aver riabbracciato il figlio, il padre, Nunzio Tacchetto, ha ringraziato la Far- nesina «per il sostegno, dalla prima telefonata sul sequestro all’ultima sulla sua liberazione».

Luca e Edith erano partiti dall’Italia alla fine di novembre 2018 in auto con l’intenzione di raggiungere degli amici in Togo per lavorare come volontari in un progetto umanitario. Dopo aver trascorso alcune settimane di viaggio in Europa occidentale, per poi attraversare Marocco, Mauritania e Mali, giunsero in Burkina Faso. Il 15 dicembre 2018 avevano soggiornato a casa di Robert, un pensionato francese incontrato sulla strada qualche giorno prima, e della sua compagna togolese, nella città sudoccidentale di Bobo Dioulasso. Dal giorno dopo non si ebbero più notizie. «Sei jihadisti ci hanno fermato vicino al Parco W – avrebbe dichiarato Tacchetto alle autorità italiane –. I sequestratori ci hanno spostato all’interno del Burkina Faso fino a raggiungere il Mali nel gennaio del 2019». Dopo vari mesi nel deserto, e un tentativo di fuga andato male, i due giovani sarebbero riusciti finalmente a scappare nella notte fino a trovare un veicolo che li ha portati a un

posto di blocco della Minusma. La notizia della loro liberazione è stata divulgata dalla stampa internazionale sabato scorso.

Secondo Tacchetto, il gruppo jihadista responsabile della loro incolumità in Mali era un affiliato di al– Qaeda. Potrebbe infatti trattarsi del Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim), un accorpamento di diversi ex gruppi terroristi presenti nel Sahel e che dal 2017 fa capo a Iyad ag Galy, veterano jihadista originario della regione di Kidal. Quest’ultimo ha dichiarato nei giorni scorsi di essere propenso a dialogare con il governo maliano solo «quando i soldati Onu e francesi lasceranno il territorio maliano». Il Gsim avrebbe almeno sei stranieri nelle sue mani, di cui sono stati mostrati i volti in vari filmati rilasciati dal gruppo jihadista. Tra di essi ci sarebbe l’operatrice umanitaria franco– svizzera, Sophie Petronin, prelevata da dei miliziani jihadisti nel dicembre del 2016. Nel caso di Luca e Edith, invece, nessun gruppo ha mai rivendicato il sequestro. Alcuni esperti si interrogano inoltre sulle reali dinamiche del rapimento. Per esempio, il Parco W, situato nel profondo sud–est del Burkina Faso, è assai lontano da Bobo Dioulasso, il luogo in cui si sono perse le tracce della coppia e che si trova a oltre 360 chilometri a sud– ovest della capitale, Ougadougou. «Ci sono ancora molte zone d’ombra rispetto a questa vicenda – ha dichiarato alla stampa il canadese David Morin, esperto di radicalismo islamico –. Forse sapremo qualcosa in più nei giorni o nei mesi che verranno ».

Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 17 marzo 2020 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Matteo Fraschini Koffi - Giornalista Freelance