Prove di un altro colpo di stato a Khartum
LOME', Togo - La pentola sudanese in ebollizione da giorni è scoppiata ieri mattina. Le profonde divisioni
all’interno dell’apparato militare e paramiltare sono sfociate in un tentativo di colpo di Stato da parte delle Forze di supporto rapido (Rsf) che a loro volta hanno incolpato l’esercito regolare (Saf) di voler continuare a regnare con la giunta militare al potere. Per ora i civili morti sono almeno nove, oltre alla distruzione di edifici in varie città del Paese a causa dei bombardamenti. In serata il bilancio era di almeno 25 morti e 183 feriti, secondo il sindacato dei medici citato dal Guardian. Non si precisa se le vittime siano militari o civili. La lotta per il potere è così iniziata con violenza e oppone il presidente del Governo militare transitorio, il generale Abdel Fattah al-Burhan, e il suo vice e leader delle Rsf, il generale Mohamed Hamdan Dagalo detto “Hemmetti”. «Burhan è un bugiardo, criminale, codardo e ladro – ha tuonato ieri Hemmetti davanti ai giornalisti –, verrà catturato e trascinato come un cane davanti a un tribunale o ucciso». Simili invettive sono state lanciate da al-Burhan contro il suo vice.
Difficile dire chi stia riuscendo a sopraffare l’altro, entrambe le fazioni hanno decine di uomini sotto il loro comando e vogliono conquistare il potere per evitare di essere condannati o uccisi. «L’esercito avrebbe attaccato per primo la base militare delle Rsf nella località di Soba, a sud della capitale sudanese, Khartum – hanno affermato gli analisti –. Hemmetti ha quindi risposto dispiegando i propri uomini e mezzi in punti strategici a Khartum e in altre città ». I due eserciti degli oppositori si sono contesi per diverse ore l’aeroporto internazionale (dove sono stati danneggiati alcuni velivoli), il palazzo presidenziale, gli uffici della tv nazionale e le abitazioni di entrambi i leader. In serata i paramilitari hanno mostrato un video della resa di militari egiziani in Sudan per «manovre» con i governativi. Per il momento non c’è alcun chiaro vincitore. «Il disaccordo tra i due è nato già dal colpo di stato di ottobre 2021 – spiega Kholood Khair, analista sudanese a Khartum –. Al-Burhan voleva mantenere il potere senza consegnarlo ai civili, mentre Hemmetti non era d’accordo con il golpe». Quest’ultimo aveva infatti già espresso il desiderio di lasciare il suo ruolo di militare e per candidarsi alle elezioni previste per il 2025.
Tale processo, iniziato con la mancanza di un accordo per il rilancio del percorso democratico che già si sperava dopo la caduta dell’ex dittatore, Omar el-Bashir. nel 2019. Hemmetti ha il supporto principale di Russia e degli Emirati Arabi , desiderosi di poter sfruttare le risorse naturali del Paese e la posizione strategica. Al-Burhan è invece sostenuto da Cina, Egitto e Arabia Saudita. In questo complesso scacchiere, l’Occidente, che ha chiesto una «immediato stop degli scontri» si è dimostrato ambiguo. Appelli anche da Onu e Ue, mentre la comunità straniera (150 gli italiani) è assistita dai diplomatici. «Usa e Gran Bretagna hanno mantenuto le sanzioni contro il Sudan bloccandone il rilancio – sottolinea Waleed Madibo, geopolitico sudanese –. E il mancato passaggio dei poteri ai civili ha fatto il resto». Voci si rincorrono sulla paternità della escalation, qualcuno intravede anche un ruolo degli Usa nello scontro tra russi e cinesi, alleati invece in altre realtà, prima da tutte quella ucraina. In questi giorni sono state evidenziate anche le differenze etniche che vedono Hemmetti, sudanese della comunità dei Rizeigat della regione occidentale del Darfur, un esterno rispetto alle dinamiche che per 30 anni hanno tenuto al potere Bashir. L’accordo di dicembre che avrebbe dovuto essere firmato settimana scorsa marginalizzava l’incarico delle Rsf in un potenziale futuro esercito nazionale. L’inevitabile scoppio delle violenze riporta quindi il Sudan nell’oscurità di quella che potrebbe trasformarsi in una lunga guerra civile.
Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 16 aprile 2023 © RIPRODUZIONE RISERVATA