Sudan, spari anche sulla tregua
LOME', Togo - Al quarto giorno di combattimenti la situazione sudanese continua ad aggravarsi.
Sono almeno 270 i morti e oltre 2.600 i feriti sul campo. È “guerra” anche sulla tregua di 24 ore, prima proclamata dalle parti e poi, ripetutamente, violata. Rimangono molto confuse le informazioni sul conflitto in corso tra i due principali leader del Paese: il generale Abdel al Burhan e Mohamed Dagalo “Hemmeti”, rispettivamente presidente e, ormai, ex vicepresidente sudanesi. Questi ultimi sembrano addirittura aver perso il controllo dei propri uomini. «Noi delle Forze di supporto rapido (Fsr) abbiamo intenzione di rispettare 24 ore di cessate il fuoco – ha riferito ieri due volte Hemmeti in un comunicato, sollevando lo scetticismo degli esperti – . Vogliamo garantire il passaggio sicuro dei civili e delle persone rimaste ferite». L’esercito regolare ha fatto sapere invece di non essere a conoscenza del primo tentativo di tregua mentre ha ignorato il secondo e non ha smesso di attaccare militarmente le Fsr che ormai definisce «un gruppo ribelle».
Da due giorni ci sono state violenze che hanno colpito non solo guerriglieri e civili sudanesi, ma anche stranieri. Funzionari dell’Unione Europea e degli Stati Uniti sono sopravvissuti agli attaccati nelle loro case, come numerosi impiegati dell’Onu. «Uomini armati hanno fatto irruzione nelle abitazioni dei dipendenti dell’Onu e di altre organizzazioni umanitarie nella capitale, Khartum – si leggeva ieri in un documento interno dell’Onu –. Gli individui hanno rubato e aggredito sessualmente donne». Inoltre, è stato registrato almeno «un episodio di stupro» e «alcuni rapimenti». Due cittadini di nazionalità nigeriana, impiegati di un’organizzazione internazionale, sono stati rapiti, mentre un edificio che ospita l’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari dell’Onu (Ocha) è stato preso di mira anche se non si sono registrati feriti. Almeno sedici ospedali di tutto il Sudan, poi, non sono più operativi. «Alcuni degli ospedali bersagliati dalle fazioni armate non possono operare perché sono stati bombardati – ha spiegato il Sindacato dei medici sudanesi (Uds) –. Almeno tre sono al momento nell’impossibilità di funzionare e accogliere malati o feriti ». Le violenze hanno raggiunto anche l’università di Khartum dove studenti e professori sono stati costretti a seppellire un giovane all’interno del campus poiché il trasferimento della vittima verso una struttura sanitaria sarebbe stato troppo rischioso.
«Ci sono cadaveri in strada che posso vedere dalla mia finestra – ha raccontato un residente della capitale – , tutti i morti abbandonati mostrano segni di gonfiore e decomposizione». Gli scontri continuano anche in altre località del Sudan come El Fasher dove sono stati uccisi tre impiegati del Programma alimentare mondiale (Pam/Wfp). In questa regione martoriata da decenni di massacri sembra più difficile ottenere un quadro preciso sulla situazione. «Abbiamo curato un totale di 183 persone ferite mentre altre 25 sono decedute – ha riferito l’organizzazione Medici senza frontiere (Msf) –. L’ospedale di El Fasher sta rapidamente esaurendo le forniture mediche, tra cui farmaci e sacche di sangue». I tre mediatori nominati dalla comunità regionale dell’Igad, Salva Kiir, Ismail Guelleh, e Wiliam Ruto (rispettivamente presidenti di Sud Sudan, Gibuti e Kenya, ndr.) non hanno potuto recarsi a Khartum a causa dell’insicurezza all’aeroporto. Ma sono sempre di più gli attori locali e internazionali che stanno facendo disperati appelli per un “cessate il fuoco immediato”. Nell’ombra, invece, ci si domanda dove sia l’ex presidente, Omar el Bashir, spodestato nel 2019 e imprigionato perché accusato di crimini di guerra e contro l’umanità.
Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 19 aprile 2023 © RIPRODUZIONE RISERVATA