Le ali di un trolley
LOMÉ, Togo – Fissavo le pareti grigie della stanza cercando di contenere la frustrazione. Eccoci di nuovo qui.
Tra le mani delle forze dell’ordine. Per essere uno dei Paesi più creativi al mondo, l’Italia a volte mostra poca fantasia. Ormai non chiamo neanche più Avvenire. Molti della redazione non ne possono più di questi miei articoli. Ahhhh, come li capisco. Senza aspettare alcuna indicazione da parte dei tre agenti sono quindi sprofondato sul divanetto in fondo alla stanza. Ho appoggiato il mio zaino lacerato insieme al nuovo trolley violaceo, un prezioso regalo del convegno di Confindustria. Ero inoltre reduce da un incontro con un’importante agenzia di stampa svoltosi rapidamente con un loro emissario in un ristorante semivuoto di Fiumicino. Di questi tempi...ho poco tempo.
Prima ancora venivo appunto da 24 ore di Capri. Ho condiviso la mia esperienza in Africa con la crème de la crème degli industriali italiani, giovani e più anziani. Un grande onore. Ero al secondo aliscafo, al quarto volo e alla 48esima ora di viaggio. Mi mancava la rotta Roma-Addis Abeba, Addis Abeba-Lomé. Sì, prendo proprio questa strada: la più lunga. Difficile spiegarlo ma c’è qualcosa di speciale nell’attraversare il continente africano da Est a Ovest più volte all’anno. Sorvolando tanto i deserti quanto le foreste. Un altro onore che non sottovaluto neanche quando volo di notte. Che grigie queste pareti invece...
“No, che fa, guardi che non è necessario che si segga...”, agente-1 non capiva. “Controlliamo velocemente, eh...”, agente-2 neppure. “Fate quello che dovete fare, sono stanco...”, ho mormorato. La prima volta che sono stato fermato dalla polizia avevo 18 anni. Da allora strade, stazioni, aeroporti, persino qualche traghetto. All’inizio ero parecchio intimidito. Ora, invece... Cerco sempre di sorridere, ma quando non ce la faccio...non ce la faccio. I nervi sono saldi e non ho alcuna intenzione di commettere errori nei confronti degli uomini dello Stato, persone per cui avrò sempre grande rispetto. Il nostro non è un lavoro facile, spesso incompreso anche dalle persone a noi più care. Per questo il cosiddetto “profiling” l’ho accettato molto tempo fa. Da quando l’avevano spiegato Robert Baer (ex agente della CIA) e Asra Nomani (scrittrice e giornalista) anni fa durante una conferenza. Ma è il modo in cui vengo fermato che, spesso, mi fa ribollire il sangue alla testa.
“Show me your documents!”, aveva esordito qualche minuto prima agente-1. Ero diretto all’imbarco ma lui si era accorto che gli stavo “scappando”. Ripeto, ero stanco. Non vedevo l’ora di tornare all’afa di Lomé durante la stagione delle piccole piogge. Camminavo in maniera sostenuta.
“...Parli pure italiano...”, ho risposto guardandolo dal basso verso l’alto sebbene lo superassi di almeno due spanne.
“Ah, ciao bello! – ha continuato – Dove sono i documenti!”
Ho stretto le labbra e mi sono appoggiato sul mio nuovo trolley. L’immagine di agente-1 si rifletteva nella mia. Ci siamo fissati per alcuni secondi ascoltando insieme il silenzio del mondo. Poco lontano due suoi colleghi scambiavano battute sull’ultima partita di calcio.
“...Scusi, cosa ha detto?”, gli ho quindi domandato il più gentilmente possibile.
L’atmosfera dell’aeroporto si era improvvisamente appesantita. I colleghi hanno smesso di parlare. Avevo agente-1 davanti, agente-2 e 3 dietro.
“...Buonasera... – ha ricominciato agente-1 –...mi potrebbe mostrare i documenti”.
“Nessun problema...”
Ho tirato fuori il passaporto dal taschino.
“...Ha qualcosa da dichiarare?”
“No.”
I nervi sempre saldi. Un convegno molto interessante quello di Capri. Il “Piano Mattei” può trasformarsi in una grande opportunità per la realtà africana e quella italiana, anche se si fatica ancora con la realtà quotidiana. Agente-1 non è più sicuro di che tipo d’italiano si trova davanti. Ci pensa un attimo e, forse per motivi d’orgoglio, non resiste:
“Prego, venga che facciamo un controllo...”
Ahhhhhhh.
“....Certo, andiamo..!”, ho risposto mettendogli un braccio sulla spalla e accompagnandolo io stesso nella stanza dei controlli.
“...Ma lei cosa fa?”, agente-1 sembra sinceramente interessato.
“Giornalista.”
“Ah....”
I due colleghi ci hanno seguito mentre si guardavano straniti. Sono sprofondato sul divanetto in fondo in attesa che facessero il loro dovere. Non ho mai visto delle pareti più grigie.
“...Ma da dove arriva?”
“Da Capri.”
“Ah...e che ci faceva a Capri?”
“Convegno di Confindustria.”
Agente-1 ha scambiato uno sguardo dal sopracciglio alzato con entrambi i colleghi. Agente-2 ha persino iniziato a sorridere fino a quando agente-3 ha notato il trolley. Violaceo e nuovo di zecca. Splendeva sui loro volti. In alto, gonfia e fiera, l’aquila “confindustriana”. Le ali estese... Se osservato con cura tale logo può intimidire anche il più ignorante degli spocchiosi. Ma chi non rimarrebbe intimidito dalla storia di oltre 150mila mila imprese italiane? Subito sotto, la scritta: “Confindustria, giovani imprenditori, #Capri2024”.
Ora nessuno sorrideva. Agente-1 sembrava ancora più confuso.
“...Ah...bene....si è divertito?” Prima di rispondergli ho pensato a quella volta che Tidjane Thiam, per anni amministratore di Credit Suisse e probabile prossimo Presidente della Costa d’Avorio, rimase detenuto all’aeroporto JFK di New York. I poliziotti volevano sapere “dove stesse andando di bello”. Lui, molto più paziente di me, ha risposto con l’affabilità che lo contraddistingue: “Devo parlare di economia al vostro Presidente...” Conoscendo abbastanza bene il personaggio, immagino che qualche timida risata se la sia scambiata insieme a Barack Obama.
Era però arrivato il momento di alzarsi, non potevo mancare il volo.
“Posso andare ora?”, ho chiesto mentre recuperavo zaino e trolley. Lo ammetto, non ho aspettato la risposta. Ho ripreso il passaporto dalle mani di agente-1 e ho ricominciato a galoppare verso l’imbarco. Alle spalle i tre colleghi avevano continuato con qualche battuta su Capri per alleggerire l’atmosfera. Le ho udite a malapena. Purtroppo ero già piuttosto lontano.
Matteo Fraschini Koffi