LUCA ATTANASIO, Il “fratello diplomatico” mai incontrato
LOMÉ, Togo – Qualche giorno fa ricevetti un messaggio da una persona di un’ambasciata italiana in Africa sub-sahariana.
Da quasi 20 anni ci scambiamo molti “punti di vista”. Questa volta mi ha spedito un articolo pubblicato recentemente su l’ESPRESSO e firmato da una certa Antonella Napoli (che non conoscevo): “Dietro la morte di Luca Attanasio potrebbe esserci il racket dei visti Schengen”. Wow! Che titolone... Un titolo che sicuramente Napoli non ha scelto ma che deve comunque aver approvato per “un’inchiesta” tanto delicata sulla morte di un diplomatico di così alto livello. Il titolo, come dicono gli anglofoni, è molto “catchy”. Io lo trovo invece molto “salty”. Rappresenta infatti il sale nelle ferite di alcuni amici ambasciatori che non possono parlare pubblicamente sulla morte di un loro collega. Non oso inoltre immaginare quello che provano i familiari di tutte e tre le persone uccise il 22 febbraio del 2021 nei dintorni di Goma, nel nord-est della Repubblica democratica del Congo.
Non ho mai incontrato Luca ma qualcosa mi dice che saremmo andati molto d’accordo. Non solo porta il nome di mio fratello ma sono passato spesso dalle parti di Saronno e Limbiate prima di iniziare la mia vita in Africa. Ho avuto amici, gite scout, partite di rugby e pallacanestro in quella zona della Lombardia. Infine, poco dopo la sua morte ho scoperto che avevamo molte amicizie in comune all’interno della stretta comunità di ambasciatori italiani in Africa. Per questo pur non avendolo mai incontrato non posso che percepirlo come un “fratello”. E quando la morte di un fratello viene distorta da una stampa confusionaria come quella italiana, soprattutto quando si tratta di Africa, a un certo punto non ce la faccio più.
L’Ambasciatore Luca Attanasio, ne sono convinto, era uno di quei diplomatici che cercano davvero di contribuire al bene delle relazioni dell’Italia attraverso il mondo, senza falsi moralismi o ipocrisie. Non ho mai sentito dire una cattiveria su di lui. Nessuno lo voleva morto. Poco dopo il decesso stavo infatti sorseggiando un caffè con un altro ambasciatore a me molto caro e di spessore, Francesco Paolo Venier. Il suo impegno fu fondamentale nel riattivare l’Istituto Italiano di Cultura di Dakar, un luogo con un potenziale assai prezioso. Avevamo parlato di Luca poco prima che morisse anche Paolo l’anno seguente. Si conoscevano bene. Mi ha raccontato di come qualche tempo prima Luca avesse partecipato all’apertura dell’Istituto a gennaio del 2020. C’ero anch’io ma purtroppo non l’ho incrociato.
So che deluderò molti amanti della teoria del complotto (e, vi assicuro, io sono fra questi). Ma secondo le mie informazioni, Luca, Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo sono morti per una ragione molto semplice: si trovavano nel posto giusto al momento sbagliato. Niente di più, niente di meno. In molte parti del mondo, purtroppo, succede ogni giorno. E non bisogna aver vissuto nella Repubblica democratica del Congo per capirlo. Non faccio nomi, ma della sua morte ho parlato con varie persone che conoscevano davvero le circostanze del trpilice assassinio. Avevo cercato di contattare anche Rocco Leone (incontrato nel 2016 a Bangui, in Centrafrica) subito dopo l’accaduto ma era già stato inglobato dal sistema Onu che, logicamente, lo sta proteggendo. Non so se lo stesso si può dire del povero autista congolese del PAM. Secondo le mie ultime informazioni si trova costretto a vivere in un altro Paese e ad avere la sua famiglia in Congo più volte minacciata dalle “autorità” che lo vogliono far ritornare.
Durante una delle mie soste a Fiumicino ho avuto anche il piacere di incontrare un operatore umanitario molto in gamba: “Matteo, Goma è un macello – mi ha spiegato durante una lunga chiacchierata mentre eravamo diretti a Termini e al primo bar aperto –. Se non paghi ti fanno fuori. Io stesso lavoro sotto le costanti minacce di chi vuole sempre più soldi per le sue associazioni, per la famiglia, l’amante, il politico, insomma, se qualcuno cominciasse a investigare sulla corruzione che gira intorno a questi progetti umanitari...lasciamo stare”. Questo operatore umanitario non è congolese ma ci manca poco. Gli ho quindi domandato: “Allora, qual è la storia con Attanasio, è stato davvero un complotto?” Lui ha alzato gli occhi al cielo prima di rispondere: “Ma va, sono tutte balle!”.
Non capisco perché l’Espresso, un settimanale così importante per l’opinione pubblica (per cui ho pure scritto un paio di volte: https://lespresso.it/c/mondo/2011/1/9/e-ora-la-somalia-ci-chiama/23008), continui con questa serie di notizie fasulle e montate alla Agatha Christie, mancando di rispetto alla morte di un servitore dello Stato. Forse il nuovo direttore, Emilio Carelli, potrà rispondere. Con me è sempre stato molto cortese durante quelle poche volte che ci siamo scambiati email quando lavorava ancora a Sky. Se invece si tratta di una decisione che lo sorvola... A Kinshasa abbiamo inoltre un nostro capoccia dei servizi segreti, molto affezionato al continente nero. Forse lui potrà fare qualcosa per fermare un po’ di “tanto amata” disinformazione.
Insomma, Caro Luca, non ti ho mai conosciuto ma molti di noi italiani sanno con certezza che vi trovavate nel posto "giusto/sbagliato" al momento sbagliato. I veri bersagli erano gli operatori umanitari del PAM che non riescono a gestire la realtà ultra-complicata del Congo nord-orientale senza contribuire alla corruzione a cui sono legati gli aiuti umanitari. Il PAM ha certamente una buona fetta di responsabilità in quello che è successo. Ma spesso si lavora in zone troppo complicate, per questo gli operatori possono (e lo capisco) sfruttare la loro immunità. Lavorare in quelle zone richiede una certa disciplina e troppo spesso neanche quella basta. Inoltre, i “traffici di visti Schengen” sono in corso in molte ambasciate italiane (e non solo) sparse per il mondo, Repubblica democratica del Congo inclusa. Quella sì che è un’inchiesta! Ma collegarla alla morte di Luca mi sembra una grande scorrettezza.
Non conoscevo questo “Focus on Africa”. Li ho contattati, qualcuno della redazione mi ha subito risposto. Aspetto invece una risposta dalla direttrice, Antonella Napoli, la sua biografia la definisce una “giornalista professionista” quindi avremo molto da scambiare sull’Africa se vorrà. Magari pure lei è costretta a pubblicare questo tipo di “inchieste”, non mi stupirebbe, viviamo in un mondo marcato da dinamiche assai complesse. Voglio comunque essere chiaro: apprezzo tutti quelli che vogliono parlare di Africa agli italiani. Ho molto meno rispetto, invece, per quelli che sfruttano questo onore solamente per i propri interessi. Quello lo trovo sleale. E poi, diciamoci la verità: ci sono altre morti nello stesso Stato africano che meriterebbero una vera serie di inchieste: quella di un nostro console onorario (di cui purtroppo non ricordo il nome), le cui ceneri sono tornate in un'urna in Italia quasi un anno fa. E quella di Laurent Delvaux, un belga esperto informatico dell’Unione europea “saltato” dalla finestra dell’Hilton di Kinshasa, la capitale, lo scorso Natale.
...Per oggi mi fermo qui.
Matteo Fraschini Koffi per "esreVerse" 26 ottobre 2024
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