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FRONTE del Mali

FRONTE del Mali

10 Luglio 2012

per L'Espresso

Reportage da Mopti. Dove l'esercito ha alzato l'ultima difesa davanti agli islamisti. In attesa della guerra totale.

MOPTI, Mali – Alcune pesanti gocce di pioggia cadono sui kalashnikov dei soldati e sembrano simbolicamente annunciare l'arrivo della tempesta. Cioè della guerra. I posti di blocco per entrare nella cittadina di Mopti, al confine con l’anarchico nord del Mali, continuano ad aumentare e sono supervisionati da gruppi di militari sempre più numerosi. Si respira un’aria cupa e preoccupante in questo piccolo, ma ben armato, avamposto di frontiera. Proprio qui si sta cercando di fermare la pericolosa avanzata verso sud del fondamentalismo islamico che, mentre il mondo guardava dall’altra parte, ha travolto le province settentrionali di Timbuctu, Kidal e Gao. All’entrata di Mopti, le file di autobus con a bordo residenti e commercianti, si allungano. Tutti scendono per essere ispezionati. I militari dell’esercito maliano controllano ogni cosa: documenti, borse e, persino, sacchi di cibo. Anche le pinasse (barche locali) che si vedono navigare lungo il fiume Niger, sono esaminate meticolosamente. “Pochi giorni fa abbiamo trovato del materiale esplosivo nelle latte che dovevano invece contenere del pesce,” afferma un ufficiale della sicurezza militare che preferisce mantenere l’anonimato, “Continuiamo ad avere infiltrazioni degli islamisti non solo dal nord, ma anche dagli Stati limitrofi come Mauritania, Burkina Faso e Niger. I ribelli si mescolano facilmente con la popolazione – continua la fonte – stiamo quindi facendo il possibile per evitare che portino la loro insurrezione fino alla capitale Bamako.” Ma più il tempo passa più la situazione diventa difficile da gestire. La violenta avanzata degli estremisti di al Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi), Ansar Dine (difensori della fede), e del Movimento per l’unicità e il jihad in Africa Occidentale (Mujao) sembra inarrestabile. Tutte e tre le fazioni si dicono alleate di al Qaeda e hanno giurato di voler applicare una cruda versione della sharia (legge coranica) in tutto il Paese. Nella storica città di Timbuctu, dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità e un tempo meta di frequenti visite turistiche, la popolazione vive ora impaurita, osservando in silenzio le 4x4 che sfrecciano nella regione per mandare avanti i loro traffici di esseri umani, armi e droga verso l’Europa. “Ci sentiamo molto traditi dalle Nazioni unite,” si lamenta Drissa Diallo, un meccanico di Mopti che a causa del conflitto ha perso oltre metà della sua clientela, “Perché la comunità internazionale non vuole difendere ciò che definisce ‘tesori del mondo’? Ci lasciano da soli quando abbiamo più bisogno.” A Timbuctu, i fondamentalisti di Ansar Dine si sono avventati contro i mausolei dei santi della città, distruggendo qual­siasi cosa avesse una qualche attinen­za con l’idolatria che, per loro, è ‘anti-islamica’. Quest’ultimo incidente ha rievocato la distruzione delle statue dei Budda di Bamyian attuata dai taleban in Afghanistan nel 2001. “Non ci saremmo mai aspettati di essere soprannominati dagli analisti come ‘il prossimo Afghanistan dell’Africa occidentale’,” afferma con preoccupazione Mame Diarra Diop, capo-redattore del Journal du Mali. “La crisi politica in cui è caduto il Paese non è stata una sorpresa – ammette Diop – Da troppo tempo l’ex Presidente Amadou Toure non dimostrava alcuna autorità. Ma nessuno poteva prevedere la velocità e la violenza con cui stiamo perdendo il nostro Paese.” Con la caduta del regime di Muammar Gheddafi, le armi immagazzinate negli arsenali libici hanno fomentato i conflitti del Sahel. Nell’arco di poche settimane dalla morte del Rais, infatti, l’esercito maliano, sotto-equipaggiato e male addestrato, è stato sconfitto su più fronti da gruppi di ribelli indipendentisti e islamici. Decine di soldati sono morti, altri sono emigrati nei Paesi confinanti, mentre altri ancora sono stati costretti a ritirarsi verso sud, fermandosi a Mopti in attesa di nuovi ordini. I guerriglieri tuareg del Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (Mnla), per la prima volta nella loro storia, erano vicini ad ottenere l’indipendenza. Nelle ultime settimane, però, sono stati sopraffatti dagli integralisti. “Noi civili non sappiamo cosa stia succedendo ai livelli più alti della politica,” commenta Salif Diarra, proprietario di uno dei pochi hotel rimasti aperti a Mopti di cui, però, preferisce non dire il nome, “Abbiamo visto leader ribelli passare dai nostri alberghi o volare in prima classe verso altri Paesi della regione senza essere arrestati. Mi chiedo cosa i nostri politici stiano aspettando.” La popolazione sa che gli interessi in questa parte di mondo sono altissimi. “Il nord ha un potenziale petrolifero e minerario pronto per essere sfruttato,” ne è convinto Ibrahim Diallo, ex giornalista maliano e ora a capo delle relazioni pubbliche per l’Aga Khan Development Network (Akdn) in Mali, “Il bacino del Touduenni è probabilmente una delle più vaste riserve di petrolio e gas del Sahel.” Società come l’Eni e la Sonatrach del governo algerino avevano iniziato ad esplorare l’area già nel 2006. Molte altre compagnie straniere sono invece interessate alle regioni di Gao e Kidal. Ma le operazioni sembrano tutte sospese. La ribellione ha frenato anche uno dei settori più remunerativi per il Paese: il turismo. Fino a pochi anni fa, Mopti poteva sfoggiare alberghi pieni di turisti. In questi giorni, invece, si fatica a trovare un ristorante o un supermercato aperto. La maggior parte degli imprenditori di questa regione sono tuareg, considerati da sempre i più abili commercianti. Da quando però sono iniziate le ostilità, diverse famiglie tuareg hanno dovuto lasciare Mopti perché sono state oggetto di rappresaglie da parte dei loro connazionali. A Bamako, più di duecento agenzie, maliane e straniere, ricevevano migliaia di prenotazioni in questa stagione. Ora, quasi tutte sono chiuse o hanno spostato i loro uffici all’estero. “Sembra incredibile, ma il Mali era considerato un’oasi fondamentale per il turismo africano,” commenta Leonardo Francesco Paoluzzi, fondatore della ‘Kanaga Adventure Tours’, una delle pochissime agenzie turistiche rimaste aperte nella capitale nonostante la crisi, “Invece, ora, questo bellissimo Paese sta perdendo rapidamente una delle sue più importanti risorse.” Se il Mali è l'epicentro della crisi, gli Stati limitrofi temono che le insurrezioni possano espandersi a macchia d’olio. Per questo sia i soldati sia gran parte della popolazione civile attendono con impazienza il via libera dell’intervento militare da parte del martoriato governo maliano. Ma le autorità a Bamako sono in piena crisi politica. Il presidente ad interim, Dioncounda Traore, è da diverse settimane a Parigi perché è stato picchiato nel proprio ufficio da una folla che protestava contro il suo mandato. Nell’ombra, invece, governa un gruppo di militari di basso rango, fautori del colpo di Stato del 22 marzo e rappresentati dal Capitano Amadou Sanogo, colui che ha giurato di riprendere con la forza la poltrona presidenziale se ci saranno pressioni esterne. Il Mali è ora uno Stato privo di un’autorità centrale e un Paese senza confini lungo i due terzi del territorio. Sebbene il ministero della difesa rimanga molto discreto nel dichiarare la sua strategia, circa due mila soldati sono al momento stazionati fuori dal Paese, pronti a penetrare la regione controllata dagli islamisti. Oltre a Mopti, infatti, i generali rimasti fedeli all’esercito maliano hanno dispiegato uomini in Mauritania e Niger, sperando di poter circondare i ribelli. Alcune voci avvertono però che un’azione militare mal calcolata potrebbe far precipitare il Paese in una crisi ancor più grave di quella attuale. I rischi sono numerosi. I circa quattromila soldati presenti a Mopti continuano e i loro commilitoni elle caserme nelle caserme delle retrovie si esercitano per un conflitto ormai inevitabile. Matteo Fraschini Koffi

 

 

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