Sud Sudan, l'ora più bella: «L'indipendenza è realtà»

per Avvenire

ANNUNCIO STORICO

BOR, Sud SUDAN ---- Uno spirito euforico, marcato da una profonda sensazione di libertà mai provata prima, ha riempito i cuori e le menti della popolazione sud sudanese. Sono innumerevoli gli slogan che, ostentati con fierezza sui cartelloni stradali, si trovano sparsi per tutto il Paese: «Benvenuti nel 193esimo Stato del mondo», oppure, «Siamo il 54esimo Paese dell’Unione Africana», e ancora, «Benvenuti nella più giovane nazione dell’Africa».

 


Con l’ufficiale conferma dell’indipendenza del Sud Sudan, e l’accettazione dei risultati del referendum da parte del governo di Khartum, ieri sera è terminato uno dei processi di pace più lunghi della moderna storia africana. Nella cittadina di Bor, capitale dello stato di Jonglei, a sud-est del Governo del Sud Sudan (Goss), le radio continuano a trasmettere musica di vario genere basandosi su un’unica regola: «Che sia allegra e vivace – afferma Joseph, un sorridente ragazzo di trent’anni, e proprietario di un negozio di cd musicali, – Questo è un giorno di festa, la nostra festa!».

Con il 98,83% dei voti a favore della totale indipendenza dal nord, il Sud Sudan ha quindi scelto la separazione, avvenuta grazie a un processo elettorale che, secondo gli osservatori elettorali, «ha registrato pochissime irregolarità». A Bor, località polverosa e che rimane irraggiungibile via terra durante gran parte dell’anno per via della stagione delle piogge, l’umore, sebbene rilassato, non tradisce il sentimento di gioia che si sentirà ancor di più con la cerimonia ufficiale del 9 luglio.

«Sono felicissimo, da troppo tempo non aspettavamo altro», ammette Juma Andrew, logista dell’organizzazione non governativa italiana Intersos, una delle pochissime agenzie umanitarie che riesce ad operare in questa zona. «Solo chi ha sofferto per tutti questi anni non può che essere contento dei risultati. Abbiamo avuto pazienza e ce l’abbiamo fatta – continua Juma – e nonostante tutte le sfide che dovremo affrontare, sono più che fiducioso riguardo al nostro futuro».

Il conflitto civile tra Nord e Sud Sudan, durato cinquant’anni, con una pausa a cavallo degli anni Settanta e Ottanta, e terminato con la firma dell’Accordo di pace comprensivo (Cpa) nel 2005, ha ucciso e disperso milioni di persone. La miscela esplosiva fatta di enormi quantità di petrolio e un apparente accesso illimitato alle armi da fuoco, ha causato continui conflitti inter-etnici, epidemie, e un numero imprecisato di sfollati e rifugiati. Ed è questa la parte più oscura del Sud Sudan, spesso ignorata sia dalle autorità sudanesi sia dalla comunità internazionale. «Abbiamo bisogno di forti cambiamenti, soprattutto a livello sanitario», afferma Philip Alier, uno dei pochi infermieri che lavorano all’ospedale di Bor, e che da settimana scorsa ha in cura tre bambini di etnia dinka con ferite da proiettile causate da un attacco dei murle, un’altra etnia presente nella zona. «Spero quindi che l’indipendenza spinga il nostro governo a migliorare la sicurezza del Paese, affinché si riesca a dimostrare che la pace, come l’indipendenza, è un obiettivo possibile», aggiunge.

Anche Martha Deng, ragazza di trent’anni, ha molte speranze per il futuro di quello che ora può chiamare, senza fraintendimenti, il «suo Paese»: «Sono sempre stata la prima a ballare e battere le mani ogni volta che il tema dell’indipendenza veniva discusso», afferma con un sorriso, «Ora che siamo liberi di decidere del nostro destino senza dover trattare prima con il nord, farò pressione affinché il settore educativo sia una delle priorità di questo governo. Non lo faccio solo per me ma anche per i miei figli e i miei nipoti».

Ci vorrà però ben più che un voto elettorale per fare del Sud Sudan uno Stato indipendente a tutti gli effetti. Nelle principali negoziazioni si affronteranno il tema della condivisione dei proventi petroliferi, presenti soprattutto al sud, ma finora gestiti soprattutto dal nord. Oltre alla definitiva demarcazione del confine tra nord e sud, che comprende anche la volatile regione centrale di Abyei. La nascita del più nuovo Stato al mondo è il risultato di una realtà molto difficile. La sua crescita, probabilmente, lo sarà ancora di più.

 

 

Matteo Fraschini Koffi

 

 

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Matteo Fraschini Koffi - Giornalista Freelance