Recensioni di "Oggi Non Muoio" (2023 - ed. LIBRACCIO)

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 RECENSIONI - "OGGI NON MUOIO"  - edito da LIBRACCIO 2023

Quando inizi a leggere questo romanzo, pensi che non sia possibile che tutte quelle cose siano capitate ad un ragazzo così giovane.

E più ci si addentra nella vicenda e nelle storie che attraversa Ahmed, il protagonista, e più ci si rende conto che non c’è niente di più “fantastico” della realtà che viviamo. Ahmed è un ragazzo somalo come tanti, assomiglia a mille altre vite di giovani somali che hanno lasciato la loro terra da bambini, è la storia di chi stenta a trovare un suo spazio nel paese che è diventato la sua casa, Perugia.

Ahmed cresce, va a scuola, lotta contro la sua esuberanza, la rabbia improvvisa che lo perseguita ogni giorno della sua esistenza e che controlla anche attraverso lo sport, dove eccelle. Si sente italiano, parla perugino, ma questa sua italianità non è riconosciuta né dalla famiglia, né tantomeno dallo stato italiano che gliela nega ma la concede al fratello. La madre gli dice che è nato somalo e sarà sempre somalo, non può rinnegarlo né nasconderlo né dimenticarlo. E questa è la paura della famiglia, che lui possa dimenticare di essere somalo e perdersi tra la delinquenza perugina, tra le discoteche della città, la droga che dilaga in quei luoghi oscuri e distanti delle profondità della cittadina.

Scopriremo come Ahmed conoscerà persone che in quegli anni saranno tra le pagine della cronaca nazionale italiana, perché tra le persone che incontrerà ci sarà una giovane inglese uccisa, i vari imputati indagati per la sua morte: Meredith, Rudy, Raffaele, Amanda, questi sono i nomi che ricorrono in quel periodo nei giornali e rimbalzano in tv e Ahmed sarà uno dei nodi che giocherà un ruolo importante nelle indagini. Ahmed, è un ragazzo genuino in fondo, crede sinceramente che la verità e l’onestà paghi, ma dimostra anche molta ingenuità e impreparazione, non ha una guida se non gli amici, immigrati anche loro, che lo consigliano. Si trova invischiato in cose pericolose, la testimonianza nel caso Meredith lo porta ad essere ostracizzato dalla comunità africana di Perugia che lo vede come un traditore e la famiglia si adopera per salvarlo e l’unico modo è mandarlo in Somalia che è uno dei posti più pericolosi al mondo, un FAILED STATE, dove si troverà in mezzo agli Al Shabab.

Le difficoltà, la paura, l’insicurezza che prova nel suo paese di nascita, il suo essere un somalo della diaspora gli farà vivere momenti tragici ma anche, paradossalmente, comici. Nonostante tutto, in Somalia, ritrova anche una parte di sé stesso, ritrova pezzi della sua anima, il suo legame con una religione che non è la stessa degli Al Shabab. La spiritualità che scoprirà in essa lo salverà dall’integralismo, grazie ad una guida spirituale che incontrerà nella figura di Cumar, uno studioso del Corano che gli aprirà la mente e il cuore.

Ahmed fa tanti tentativi per tornare in Italia, nella sua Perugia, nel frattempo però impara a conoscere il suo paese di nascita, va in Yemen, viaggia per l’Africa, scopre altri paesi, impara altre lingue, come il francese in Costa d’Avorio dove vivrà per qualche anno. Incontra personaggi pericolosi, divertenti, inattendibili ma anche affidabili e profondi. Persone che non gli credono e diffidano di lui, altre che lo trovano serio e onesto. La storia di Ahmed sconvolge e addolora e ci si chiede come faccia a mantenere stabilità mentale e fiducia nel prossimo quando tutto quello che lo circonda è precario e pericoloso.

Questo è un libro che porta a conoscere un paese dimenticato e cancellato dall’Italia, è un libro che ci fa comprendere come il legame tra la Somalia e l’Italia sia fittizio se un bambino cresciuto e diventato uomo non può più farne ritorno nonostante la famiglia a Perugia risulti possedere la cittadinanza. Ahmed ci fa attraversare le ferite di un paese amato ma anche le sue nascoste meraviglie, Ahmed non perde la speranza e ogni giorno è un giorno in più di vita per lui, per trovare pace davanti all’incantevole bellezza dell’Oceano Indiano che bagna la città di Mogadiscio.

RAHMA RAKI NUR Scrittrice, poetessa, insegnante nata in Somalia e cresciuta a Roma. Insegna in una scuola primaria statale, tiene corsi di formazione per una scuola antirazzista. Ha pubblicato poesie, racconti, articoli; ha scritto la prefazione a "Insegnare comunità: per una pedagogia della speranza" di bell hooks, Ed Meltemi; premiata a diversi Concorsi, tra cui Concorso Lingua Madre e “Il paese delle donne” per la raccolta di poesie “il grido e il sussurro “ ed. Capovolte. A maggio 2023 è uscito il suo primo libro per ragazzi "Il figlio del sole e della tempesta" Ed. Oso Melero.

 

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Né vincitori né vinti, Si esce sconfitti a metà, L’amore può allontanarci, La vita poi continuerà (La notte, Arisa)

Oggi non muoio è un romanzo scritto a quattro mani da Matteo Fraschini Koffi - giornalista milanese adottato in Togo (Africa occidentale) - e Mohamed Abukar Barrow, somalo cresciuto a Perugia, alla cui vita il testo - redatto con uno stile chiaro, avvincente, non privo di tonalità liriche - si ispira. I co-autori vi hanno lavorato per circa tre anni, comunicando spesso tramite canali strettamente riservati. Ahmed, il protagonista di Oggi non muoio, nasce nel 1985 a Mogadiscio, capitale della Somalia. Nel 1991, la guerra civile implode ed è impossibile sopravvivere. I cadaveri sono sparsi ovunque, abbandonati, intrisi di sangue - gli arti mozzati: “eravamo nel mezzo di un conflitto che avrebbe sfregiato il volto della Somalia per sempre, lasciando una cicatrice che ancora oggi abbiamo difficoltà a curare”.

Attraverso un percorso irto di insidie, la madre Aisha, Ahmed e il fratellino Ibrahim partono: la meta è Perugia. Prima, però, devono raggiungere il Kenia: viaggiano nel cassone di un camion, poi con dodici persone appollaiate sui sedili di una Toyota 4X4. Il sole è accecante, il caldo torrido, le strade, a causa del vento, si cancellano ed è facile smarrirsi. A Nairobi ottengono i documenti ed emigrano, in aereo: destinazione l’Italia - Perugia. Li attende la zia Malal, che li ospiterà a lungo. Il padre, Ahmed, non lo rivedrà più.

A Perugia, la stralunata impressione del piccolo Ahmed è data dall’inaspettato numero di “bianchi” che incontra per le vie. E una delle sue iniziali difficoltà consiste nel sapere mangiare con le posate e nel dismettere l’abitudine somala di cibarsi da uno stesso piatto, usando le mani. La sua unica amica è Sofia, “una bambina con una folta chioma di capelli biondi e selvaggi, dagli occhi colore del cielo sopra i tetti di Mogadiscio e la carnagione come zucchero filato”. È una vera e propria mediatrice culturale. Aiuta Ahmed e Ibrahim a integrarsi e ad apprendere l’italiano: “averla accanto mi riempiva di autostima, ero orgoglioso di essere oggetto di interesse per una bimba tanto speciale e così diversa da me”.

Spesso Sofia è colpita da una “strana” febbre, a volte scompare… Affetta da una seria forma di leucemia, ben presto, troppo presto per Ahmed, si trasferisce in Germania, dal padre. Lo sport, il calcio rappresentano, per Ahmed e Ibrahim, un’opportunità per sentirsi, a poco a poco, italiani: “Ogni volta che cadevamo per terra (…) i nostri avversari ci aiutavano a rialzarci, un comportamento molto strano per me e Ibrahim, perché in Somalia nessuno ti prende la mano per tirarti su, anzi, solitamente vieni deriso. Attraverso il calcio ci divertivamo molto in quei primi anni e pian piano si plasmava il nostro senso di appartenenza all’Italia”. Ma l’integrazione, per Ahmed - come per altri bambini cresciuti in Italia e provenienti da mondi lontani rispetto allo stile di vita e alla cultura italiani - può creare una dissintonia identitaria. È arduo, talora impossibile, elaborarla con armonia: “ormai non mi sentivo più somalo, ero stato adottato dall’Italia, un Paese che consideravo come una madre sempre pronta ad accogliermi tra le sue braccia anche quando non mi comportavo bene. Provavo quindi un certo senso di colpa nell’ammettere a volte un senso di nostalgia per la Somalia, non volevo che la madre adottiva potesse ingelosirsi di quella biologica, il mio ultimo desiderio era deludere l’Italia”.

Ecco il primo punto nevralgico della psicologia del protagonista, quello dal quale deriveranno le fragilità, gli inciampi, i lutti: ritenersi italiano, provare un senso di colpa verso il paese natio, e tuttavia non percepirsi completamente accettato dall’Italia. Ahmed si iscrive alla squadra di pallacanestro di Perugia e mostra prestazioni eccellenti: “lo sport era anche un modo utile per sfogarmi, per espellere quella rabbia provocata dalla confusione del mio stato d’animo in generale e dalla perdita di Sofia in particolare”.

È, però, nell’adolescenza che Ahmed inizia a manifestare un grave disagio psichico - accade del resto ancora oggi a tanti ragazzi, pure italiani: nell’adolescenza, infatti, scoppiano come bombe, nel vissuto familiare e sociale, le carenze taciute e le ingiustizie subite durante l’età infantile. Ahmed intraprende una china discendente, anche se si impegna nella pallacanestro, e l’allenatore intravede per lui un probabile successo: il realizzarsi del “sogno di diventare un giocatore professionista”. È arrivato a essere il settimo cestita in Italia nelle finali nazionali juniores: può essere scelto primo in riserva per un campo estivo. Questo non si verifica, e Ahmed si oscura, si allontana dalla famiglia e dal contesto perugino più sano.

Cade in depressione: perde i suoi migliori amici “bianchi”, gli manca Sofia… Attraverso la fruizione di una filmografia di cifra americana, è sedotto dalla logica del potere e dalla brutalità della mafia. Comincia a frequentare, così, l’ambiente della criminalità di Perugia, dove “la droga è regina e la violenza adrenalina”. Interrotti definitivamente gli studi, lavora come guardia di sicurezza nei locali notturni di Perugia e svolge l’attività di informatore per conto dei boss perugini. Preferisce le ragazze “straniere”, le italiane sono “troppo serie e difficili da comprendere” e le africane non lo attirano: “girare per Perugia con una donna nera significava essere osservati dagli italiani bianchi durante l’intero tragitto”. La complessità della personalità di Ahmed, giovane di acuta intelligenza e di greve sensibilità, è rara: mentre si abbandona agli eccessi di svariate dipendenze, sente il richiamo della sua religione: l’Islam. Contatta l’imam Adbel Qader, di Perugia, ed è assiduo in moschea. Non ha dimestichezza con la lingua araba: legge il Corano in traduzione italiana.

L’effetto di tutte le contraddizioni che vive Ahmed è rovinoso, tanto da causare la sua prima vera e propria crisi di identità, preludio dei problemi, delle discese e delle impervie risalite che lo porteranno a essere quello che lungo il romanzo si rivela: “Quando non andavo in moschea (…) nell’oscurità delle notti perugine non riuscivo a capire chi fossi (…): non ero un buon musulmano, non ero del tutto italiano, non ero una persona capace di astenersi dalle relazioni sessuali, non ero un marito, non ero più uno studente, nemmeno un campione di pallacanestro, non ero un bravo figlio, fratello o nipote”. Purtroppo, Ahmed resta invischiato nell’intreccio delle indagini sul macabro omicidio dell’inglese Meredith Kercher, accoltellata nel suo appartamento di Perugia, nella notte tra l’1 e il 2 novembre 2007. Ahmed pratica la pallacanestro con Rudy Guede, “un ragazzo di origine ivoriana” e conosce di vista la statunitense Amanda Knox dal “viso angelico e il sorriso da «ragazza della porta accanto»”.

Il 2 novembre, al mattino, si apprende dalla TV e dai quotidiani che a Perugia “una ragazza” è stata “uccisa in via della Pergola, una certa Meredith Kercher”. I media nazionali e internazionali menzionano, con insistenza, “i presunti responsabili del crimine”: Amanda Knox e Raffaele Sollecito. La polizia cerca un altro uomo, un africano, poi individuato in Rudy Guede. Ahmed viene avvicinato da poliziotti in borghese: gli offrono una somma di denaro e la promessa di aiutarlo a ottenere la cittadinanza italiana, in cambio di informazioni su Guede. Con riluttanza, Ahmed riferisce che Guede, poco tempo addietro, gli ha manifestato il desiderio di emigrare in Germania. Alcuni giorni dopo, Guede è arrestato, in Germania.

Convocato, in seguito, dalla polizia, Ahmed è ascoltato in qualità di testimone e firma un verbale che non legge. Diventa teste di accusa nel processo contro Rudy Guede - un processo ripreso dalle televisioni di tutto il mondo. L’ira della comunità africana di Perugia è al culmine. Ahmed è minacciato e aggredito: ha testimoniato contro un africano. Come Mogadiscio circa vent’anni prima, Perugia non è più un luogo sicuro per lui. Ahmed, intanto, viene invitato a tornare in Somalia per partecipare alla Federazione somala di pallacanestro: “È la salvezza”, pensa.

Arrivato a Mogadiscio, Ahmed comprende: è stato ingannato. Coloro che lo hanno indotto a rientrare in Somalia sono i terroristi islamici di Al-Shabaab. In modo ambiguo, ma fermo, lo conducono, bendato, nella villa blindata dell’afghano Hassan, che si definisce “il rappresentante di Al Qaida nel Corno d’Africa”: “«mi sono interessato a te dopo che ti ho visto in televisione e ho letto di te nei giornali (…). Pensi davvero che quell’africano abbia ucciso la ragazza inglese di nome Meredith? Come mai ti sei accanito contro di lui e non contro gli altri due bianchi, Amanda e Raffaele? Perché hai collaborato con la giustizia?»”.

Dopo poco tempo, misteriosamente, i documenti di Ahmed, conservati in casa, spariscono: egli inizia, quindi, una disperata ricerca, al fine di recuperarli tramite il Consolato italiano a Nairobi. Vuole ripartire per l’Italia – la guerra civile in Somalia continua a impazzare. Ma Ahmed non ha la cittadinanza italiana e, “non ha diritto ad alcuna protezione da parte del Governo italiano”: “Una rabbia immensa ha cominciato a farmi ribollire il sangue invadendo il mio cuore”. Probabilmente, è ora attenzionato pure dai servizi segreti italiani.

E questo è il secondo punto nevralgico della psicologia di Ahmed: se l’Italia lo rifiuta e la Somalia è un campo di battaglia dove “ci sono più rischi nel vivere che nel morire”, egli può trovare un rifugio e tentare di dare un senso ai disastri della propria giovane esistenza. Hassan e i suoi adepti gli sembrano l’unico riparo possibile, gli offrono la lusinga di un’identità - quella dell’Islam radicale. Costretto in un regime di sorvegliata semilibertà, ne subisce l’incanto. Colui che sospetta di te, che ti assoggetta, che ti contiene forzosamente, lo idolatri e lo difendi: è anche colui da cui dipende la tua sopravvivenza. Sono i sintomi della Sindrome di Stoccolma: “Ormai non mi vergognavo più di piangere davanti ad Hassan, lo ascoltavo con gli occhi bassi e gonfi di lacrime, in quel momento questo mujahedin appena incontrato aveva una comprensione della mia storia più profonda di chiunque altro”. E così Ahmed sogna di “di diventare un vero mujahedin”: frequenta la moschea, studia il Corano e la sharia, la politica somala e internazionale.

Che dire… Ahmed è davvero un personaggio sconcertante: induce a compassione, innervosisce, se ne prende istintivamente le distanze. Appare come un moderno visconte dimezzato: il Buono cerca la salvezza nella misericordia di Allah, il Gramo è affascinato dagli aspetti radicalizzati della religione islamica. E la sua fragile identità si spezza: esonda il lato oscuro, il Gramo, intriso di ferite, di ingenuità pagate a caro prezzo, di furbizie salvavita, di connivenze sbagliate - di ideali crollati. Ahmed riceve una e-mail da Sofia: gli chiede perdono per averlo abbandonato, gli propone di raggiungerla in Germania, di sposarla e di acquisire la cittadinanza tedesca.

Dopo quasi un anno, Ahmed decide di fuggire dagli jihadisti somali. Direzione Yemen. Sofia lo salva una seconda volta: “dovevo ascoltare il mio cuore e il mio cuore aveva scelto lei”. Ahmed viaggia in bus, numerosi sono i posti di blocco: per continuare il percorso bisogna sborsare cospicue tangenti, altrimenti si è sequestrati o ammazzati dalle varie forze militari in gioco. Poi c’è la traversata in mare - ricorda quella dei tanti disgraziati che hanno perso, e perdono, la vita nel Mar Mediterraneo: “Il mare era nervoso, le onde irrompevano nell’imbarcazione con virulenza e spesso ci schiaffeggiavano il viso, l’acqua era gelida”. In Yemen entra in contatto con Cumar, “uno degli imam più sapienti della comunità somala” yemenita. Segue “la sua scuola coranica” e sviluppa, finalmente, un’intensa spiritualità islamica, svincolata da ogni violenta radicalizzazione – esente, però, da una lettura ermeneutica del Corano: Sofia è atea, non intende convertirsi all’Islam e Ahmed, in quanto musulmano, non può – e non vuole, pur cogliendone la problematicità – contrarre matrimonio con un’atea. Assente dall’Italia da più di due anni, il permesso di soggiorno italiano non è rinnovabile. Il dado è tratto: Ahmed trova l’anelata identità. È musulmano e africano: “Allah rappresentava ormai tutto per me, avevo chiuso una grande porta voltando le spalle a Sofia, ma almeno avevo la mia fede per continuare a sopravvivere”.

La stagione yemenita termina. Arriva la guerra e Ahmed, suo malgrado, deve rimpatriare. La Somalia ha: “finalmente una nuova costituzione, una banca centrale, porti e aeroporti e altre istituzioni, come polizia ed esercito”, sono “state riformate. Anche il sistema giudiziario” ha “l’ambizione di poter funzionare in un contesto dove la legge” è “ancora promossa attraverso la canna di un fucile”. Il Presidente mira all’unità della nazione e a elidere la corruzione. Inserito nella squadra di pallacanestro di Mogadiscio, riceve il passaporto somalo. Conosce Fuad, “Un uomo d’affari somalo con passaporto inglese”, il quale gli promette di mantenerlo agli studi, di dargli “cibo e alloggio”, ad Abidjan, in Costa d’Avorio. Ahmed sente che in Somalia non può fermarsi a lungo, rischia di essere ucciso dai terroristi da cui è scappato. Vola quindi a Abidjan, una città, “conviviale e festaiola”. Vi dimora quattro anni, si iscrive all’università, studia il francese, si allena con una squadra di pallacanestro, frequenta la moschea e la comunità somala. Prese le distanze da Fuad, lavora nel porto di Abidjan: si occupa di contabilità e di relazioni con la clientela. Scaduto il passaporto somalo, Ahmed - novello Odisseo, privo di una donna che lo attenda, come Penelope, con pazienza, e di un’Itaca che lo accolga con il dovuto rispetto - rientra in Somalia, dove restano acquattati, e vigili, i Ciclopi dell’estremismo islamico.

Dopo diverse traversie, ottiene un nuovo passaporto somalo, valido per cinque anni. La pandemia dilaga, ma Ahmed è libero di viaggiare, almeno in Africa: in Italia, invece, non può ancora tornare. Oggi Ahmed ha trentacinque anni: “Preferisco non rivelare dove mi trovo ora o cosa stia facendo anche se il mondo, anno dopo anno, diventa sempre più piccolo per chi ha voglia di conoscerlo. A causa del mio passato so che corro ancora molti rischi”. Ahmed: non un eroe, neppure un santo … Un giovane che la società italiana non ha saputo crescere ed educare, un giovane che l’Islam radicale ha plagiato, un uomo segnato dalle ingiustizie patite, un uomo che dei propri errori sconta le esistenziali pene.

ADELE DESIDERI poeta, saggista e critica letteraria, ha pubblicato i libri di poesia Salomè (Il Filo, 2003), Non tocco gli ippogrifi (Campanotto, 2006), Il pudore dei gelsomini (Raffaelli, 2010, traduzione in spagnolo di Carlos Sánchez El pudor de los jazmines, Raffaelli, e-book, 2015), Stelle a Merzò (Moretti&Vitali, 2013 - Rosa dei finalisti Premio Letterario Camaiore 2014, traduzione in inglese di Gray Sutherland Stars at Merzò, Edizioni Kolibris, 2017, e-book). E il romanzo La Figlia della memoria (Moretti&Vitali 2016, prefazione di Davide Rondoni, nota critica di Franco Loi - segnalato al Premio Letterario Internazionale Viareggio Rèpaci 2017). Diverse altre sue opere - presenti in mostre, volumi storici, antologie, plaquettes - sono tradotte in inglese, spagnolo, francese, svedese, olandese, arabo, russo, albanese, armeno, in giapponese da Ikuko Sagiyama. Collabora o ha collaborato con molteplici riviste letterarie e quotidiani, on line e non, tra i quali Il Tempo, Gradiva, Senecio, La Recherche, Quaderni di Arenaria, Capoverso, L’immaginazione, QuiLibri, La Clessidra, Le voci della luna, La Mosca di Milano. Dal 2007 al 2014 ha scritto per Il Quotidiano della Calabria (ora denominato Il Quotidiano del Sud).

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“La scheda di Adele Desideri sul romanzo Oggi non muoio di Matteo Fraschini Koffi e Mohamed Abukar Barrow delinea icasticamente la vicenda del protagonista Ahmed, che rispecchia un dato di fatto più che mai attuale: la difficoltà che incontra chi proviene da un paese africano – anche nel caso che sia cittadino italiano! – a sentirsi integrato in Italia, finendo col lasciarsi irretire nei tentacoli della criminalità e con l’approdare infine, alla ricerca della propria identità, all’estremismo islamico. Novello Odisseo senza Penelope e senza Itaca, ecco chi è Ahmed: «non un eroe, neppure un santo... Un giovane che la società italiana non ha saputo crescere ed educare, un giovane che l’Islam radicale ha plagiato, un uomo segnato dalle ingiustizie patite, un uomo che dei propri errori sconta le esistenziali pene». Un romanzo, dunque, che non è frutto di fantasia, ma ispirato a una clamorosa realtà sociopolitica contemporanea: c’è di che meditare”

Prof. GABRIELE BURZACCHINI

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Bellissima presentazione a Milano di Matteo Fraschini Koffi su “Oggi Non Muoio” (ed. Libraccio), romanzo scritto con Mohamed Abukar Barrow sulla sua incredibile storia. Tra guerra in Somalia, caso Meredith a Perugia, jihadisti di Al Shabaab, Islam radicale in Yemen, e quotidiana eredità dei traumi, una storia pazzesca che secondo l’autore “forse aiuta a capirne molte altre intorno a noi”.

GIULIA FROVA (Casa editrice FELTRINELLI)

 

Il libro della settimana: Oggi non muoio

- In questo libro è ricostruita la vita di uno dei due coautori, Mohamed Abukar Barrow, detto Momi. Ha cinque anni quando, all’inizio della guerra civile, lascia la Somalia insieme con la famiglia e si trasferisce a Perugia. Qui cresce senza riuscire mai a sentirsi a casa, frequenta gli ambienti dello spaccio, vivacchia in attesa di un cambiamento o di un’opportunità. Quasi per caso, un giorno, si trova coinvolto nell’omicidio di Meredith Kerchner. Le sue dichiarazioni alla stampa lo fanno diventare un teste nell’inchiesta ma lo rendono inviso alla comunità africana locale. Per sottrarsi a una situazione che gli è sfuggita di mano e che considera ormai troppo pericolosa, Momi torna in Somalia ma finisce tra le braccia di Al-Shabaab… L’altro autore, Matteo Fraschini Koffi, è un giornalista italotogolese, che lavora come freelance dall’Africa.
 

STEFANIA RAGUSA, collabora  inoltre con varie testate (Africa, Nigrizia, Africa e Mediterraneo, Doppio Zero), occupandosi in particolare di arte e culture africane. Ha pubblicato diversi libri e collabora con aziende e ong in progetti culturali e di responsabilità sociale.

 

Tags: migranti attualità sociale

Matteo Fraschini Koffi - Giornalista Freelance