Dalle madrasse violente al ritorno in famiglia: i bambini «restituiti»

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DAKAR, Senegal - La lotta per difendere i diritti dei bambini vittime di violenze nelle scuole coraniche del Senegal e nel resto della regione è sempre più intensa. Si tratta di un argomento molto delicato

legato alla tradizione religiosa che spesso si scontra con l’azione delle agenzie umanitarie locali e straniere che da anni spingono per un cambiamento. L’obiettivo è di esercitare un approccio più inclusivo.

«Abbiamo iniziato un progetto pilota per il reinserimento dei bambini nelle famiglie di origine e l’iscrizione all’anagrafe – afferma ad Avvenire Andrea Ori, rappresentante regionale per l’Africa occidentale dell’Alto commissario Onu dei diritti umani (Ohchr) –. Lavoriamo per aumentare il coinvolgimento delle autorità locali legate alla protezione dell’infanzia e delle associazioni della società civile». Da diverso tempo si è acceso il dibattito sui bambini di strada in generale, e sui cosiddetti “talibé”, solitamente minori tra i cinque e 15 anni affidati da famiglie povere a dei maestri in grado di insegnare loro il Corano. Quest’ultimi vengono chiamati “marabout”. Su circa mille scuole coraniche, gran parte di esse situate nella capitale Dakar, sono almeno 30mila gli alunni spesso vittime di abusi. Secondo il progetto “Appoggio alla protezione dei bambini vittime di violazioni dei loro diritti” (Papev), l’obiettivo è quello di promuovere dei «meccanismi internazionali e regionali» per farsi carico dei bambini «attraverso strumenti giuridici e sociali».

Per questo motivo si sta intensificando il coordinamento tra vari attori che possano intervenire in tutta la Comunità economica del Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) per arrestare tale fenomeno delle “madrasse” in cui si compie violenza. L’Ohchr sta quindi collaborando con i ministeri della giustizia africani per «lanciare iniziative relative alle riforme legislative» necessarie per proteggere i minori vittime di tali sistemi. «Questi bambini sono costretti a mendicare per strada e vengono puniti con percosse, catene alle caviglie o divieto di bere e mangiare – spiegano gli operatori di varie organizzazioni umanitarie –. Da oltre 30 anni la politica sembra incapace o restia a voler combattere davvero questa piaga».

Nel 2016 il governo senegalese ha lanciato delle iniziative repressive che dovevano punire i marabout che commettevano violenze sugli alunni. Inoltre, centinaia di talibé erano stati trasferiti in vari centri d’accoglienza con l’obiettivo di ricongiungerli alle loro famiglie. Una fase che sembra sia durata però pochi mesi. I responsabili di violazioni escono troppo presto di prigione e il numero di bambini che vivono per la strada mendicando non sembra essersi particolarmente ridotto.

Matteo Fraschini koffi per AVVENIRE - 10 dicembre 2020 © RIPRODUZIONE RISERVATA

Tags: avvenire cronaca

Matteo Fraschini Koffi - Giornalista Freelance